19/12/07

Il Nobil Giuoco de li Scacchi

Promemoria sulle regole del più affascinante e regale gioco da tavolo di tutti i tempi.

Introduzione

In questo breve documento esamineremo insieme le regole basilari di un gioco molto antico ma allo stesso tempo estremamente moderno, visto che ad esso si sono dedicati non soltanto giocatori e giocatrici di ogni tempo e luogo, ma anche studiosi di Teoria dei Giochi, matematici ed informatici, nonché poeti, pittori, letterati ed artisti in genere.

A differenza d’altri giochi da scacchiera, infatti, gli scacchi hanno la caratteristica di essere davvero inesauribili, poiché esiste un numero grandissimo di partite possibili, anzi, per essere più precisi, si può dimostrare che il numero totale di mosse legali effettuabili sulla scacchiera è superiore a quello di tutti gli atomi dell'Universo!


La scacchiera

La scacchiera è un quadrato 8 x 8. Le caselle sono dette case, disposte alternativamente in colore chiaro e scuro. La scacchiera è divisa immaginariamente in otto file di case verticali, dette colonne, e 8 file di case orizzontali, dette traverse. Naturalmente sulla scacchiera sono presenti anche le diagonali, definite come case consecutive dello stesso colore poste in linea obliqua e con gli angoli in contatto a due a due.

Di fondamentale importanza è che l’angolo in basso a destra del giocatore sia di colore chiaro.

Le singole case sono identificabili tramite due coordinate, come nel diagramma n.1.

Esempi:

La scacchiera del diagramma n.1 e' disposta correttamente, perché il giocatore che conduce i Bianchi ha alla sua destra la casa d'angolo h1 di colore chiaro ed alla medesima maniera il giocatore dei Neri ha alla sua destra la casa d'angolo a8 chiara. Se le case fossero state scure, si sarebbe dovuto ruotare la scacchiera di 90 gradi, altrimenti il gioco non è valido (di solito i principianti sbagliano spesso su questo particolare).

Le case b1, b2, b3, ... , b8 formano assieme una colonna, per la precisione la seconda.

Le case a5, b5, c5, ... , h5 formano assieme una traversa, per la precisione la quinta.

Le case b1, c2, d3, ... , h7 formano assieme una diagonale (chiara).

Le case b3, c2, d1 formano una diagonale (scura).

Diagramma n.1

Lo schieramento iniziale

I due giocatori dispongono inizialmente di pari forze, in altre parole di 16 pezzi a testa divisi in:

1 Re

1 Donna (o Regina)

2 Torri

2 Alfieri

2 Cavalli

8 Pedoni

I pezzi vanno disposti sulla scacchiera come mostrato nel diagramma n.2, prestando attenzione ad un’elementare regola pratica:
è La Donna va nella casa del proprio colore.

In altre parole la Donna bianca va nella casa d1, che è chiara, mentre la Donna nera va nella casa d8, che è scura (i principianti di solito fanno il contrario).

Diagramma n.2

I movimenti dei pezzi

A differenza del gioco della Dama, negli Scacchi ogni pezzo ha un suo movimento proprio. Tutti i pezzi possono muoversi secondo i loro movimenti tipici, ma non possono oltrepassare i pezzi avversari, come invece avviene nella Dama. L’unica eccezione a questa regola è il Cavallo, che per tale motivo è spesso decisivo nelle posizioni bloccate o con scarse possibilità di movimento.

Un pezzo può eliminarne uno avversario occupandone la casa e togliendolo dalla scacchiera. Si dice in questo caso che si è catturato (mangiato) un pezzo dell’avversario.

Un pezzo non può invece occupare una casa già occupata da un altro pezzo dello stesso colore, quindi su ogni casa della scacchiera può esserci al massimo un pezzo, mai due!

Si deve sempre muovere un solo pezzo alla volta, tranne quando si effettua l’arrocco, che è una manovra tipicamente difensiva.

Vale anche la seguente importante regola:

Non sono valide le mosse che pongono il proprio Re sotto il tiro dei pezzi avversari.

Se un giocatore sposta per sbaglio il proprio Re in una casa esposta al tiro di un pezzo dell’altro schieramento, il suo avversario deve farlo notare in modo da correggere l’errore e riprendere la partita con una mossa regolare. Allo stesso modo è vietato spostare un pezzo qualsiasi se tale spostamento espone il proprio Re al tiro dei pezzi avversari.

La partita è sempre iniziata dal giocatore che conduce i Bianchi.

Se non si sta disputando un torneo, è buona norma sorteggiare chi dovrà condurre i Bianchi, in quanto questi sono leggermente avvantaggiati rispetto ai Neri, dato che, appunto, hanno il privilegio della prima mossa.

N.B. La regola secondo cui si può all’inizio della partita muovere due pedoni contemporaneamente è una baggianata tipica dei principianti.

Il Re

Il Re è il pezzo più importante dello schieramento, dato che perderlo significa automaticamente essere sconfitti.

In genere si riconosce subito dagli altri pezzi perché alla sua sommità porta una croce.

Il Re si muove di una casa alla volta in una qualunque direzione, tranne durante l’arrocco, quando può

muoversi di due case in un colpo solo. Vale in ogni caso la seguente fondamentale regola:

Il Re non può attraversare in alcun momento della partita le case che sono sotto il tiro di pezzi avversari.

Se ciò accadesse l’avversario dovrebbe far notare l’errore, in modo da ritornare alla posizione precedente e proseguire la partita con una mossa corretta. In particolare ciò è valido anche durante l’arrocco, che è una mossa speciale che sarà descritta fra poco. Non è valido “soffiare” pezzi se un giocatore non si accorge di avere il proprio Re sotto scacco, vale a dire sotto il tiro di qualche pezzo avversario. In tale caso, come appena segnalato, bisogna tornare indietro di una mossa e riprendere la partita con qualche altra mossa.

La Donna

La Donna si sposta come il Re, ma può farlo di quante case il giocatore desidera. In altre parole questo pezzo può muoversi a piacimento o lungo una colonna, o lungo una traversa, o lungo una diagonale, purché tali linee

comprendano la casa di partenza. Insomma la Donna non può muoversi a zigzag, ma sempre e solo in linea retta.

La Torre

La Torre si sposta come la Donna, eccetto i movimenti in diagonale. In altre parole la Torre può muoversi a piacimento lungo colonne o traverse.

L’Alfiere

L’Alfiere si muove solo lungo le diagonali, di quante case si vuole, ma sempre e solo in linea retta. Ogni giocatore, per tale motivo, ha due Alfieri: uno si muove lungo le diagonali scure, l’altro lungo quelle chiare, detti rispettivamente Alfiere camposcuro e Alfiere campochiaro.

Il Cavallo

Il Cavallo è il pezzo più caratteristico degli scacchi, dato che ha un movimento molto particolare, nonché la possibilità di saltare pezzi del proprio schieramento e di quello avversario.

In parole semplici il Cavallo si muove spostandosi di una casa come la Torre e poi di una casa come l’Alfiere, in modo da fare una specie di movimento a L, in altre parole senza tornare indietro. L’insolito modo di muoversi del Cavallo spesso è fonte d’amare sorprese per chi sottovaluta la potenza di questa figura degli scacchi.

Il Cavallo, pur essendo un pezzo a corta gittata, ha l’indubbio pregio di poter saltare qualunque altro pezzo. Gli altri pezzi, infatti, devono avere la linea sgombra fra la casa di partenza e quella d’arrivo per poter effettuare legalmente una mossa, mentre il Cavallo non ha questa limitazione. In parecchi casi questa particolarità può essere decisiva per l’esito della partita. Il Cavallo esprime il meglio di sé nelle posizioni chiuse e con molti pezzi sulla scacchiera, mentre la sua potenza diminuisce notevolmente nelle posizioni aperte e dinamiche.

Saper usare bene i Cavalli è uno dei requisiti essenziali per diventare buoni scacchisti.

Nel diagramma n.3 vediamo il Cavallo bianco in d4 che può muovere in ben 8 posizioni diverse, evidenziate da

un segnalino blu: sono le case c2, e2, b3, f3, b5, f5, c6 e d6. In pratica per spostare il Cavallo bianco dalla casa d4 alla casa b3 si deve spostare il pezzo medesimo con un movimento di Torre da d4 a c4, poi, sempre durante la stessa mossa, con un movimento di Alfiere da c4 a b3, senza tornare indietro, cioè svoltando in questo caso a sinistra rispetto alla direzione di provenienza. Può essere tuttavia più facile ricordare il movimento ad L risultante, evidenziato nel diagramma da una linea verde con freccia.

Il Cavallo nero in a8 può invece andare solo nelle case b6 e c7 (evidenziate con un segnalino verde), dimostrando un fatto molto noto agli scacchisti navigati:

Un Cavallo posto al margine
è come l’acqua di fronte all’argine!

In altri termini un Cavallo posto in prossimità del bordo della scacchiera ha minore mobilità di un Cavallo piazzato verso il centro della stessa.

Diagramma n.3

Il Pedone

Anche il Pedone, come il Cavallo, ha un movimento particolare. E’ l’unico pezzo che per spostarsi si muove in un certo modo, mentre per mangiare si muove in tutt’altra maniera.

Il Pedone può muoversi solamente in avanti, mai indietro. Esso in genere si sposta di una sola casa alla volta in avanti, tranne che partendo dalla fila di partenza, nel qual caso può spostarsi anche di due case in un colpo solo.

Per mangiare invece si muove come l’Alfiere, ma solo di una casa alla volta e sempre e solo in avanti.

Quando un pedone raggiunge il fondo della scacchiera, cioè l’ultima traversa, ha il diritto (e il dovere!) di essere promosso in un qualunque altro pezzo, in genere la Donna perché è il pezzo più mobile e potente. Non può essere promosso a Re perché di Re ce ne deve essere soltanto uno per parte.

Il Pedone ha pure un altro movimento molto particolare e solitamente sconosciuto ai principianti. Si tratta della presa al varco, detta anche presa en passant. Questa mossa si può effettuare solo in condizioni ben definite e consiste nel mangiare un Pedone avversario spostando il proprio Pedone non nella casa di quest’ultimo, bensì in quella alle sue spalle ed eliminandolo contemporaneamente dalla scacchiera. E’ l’unico caso negli scacchi in
cui un pezzo può mangiarne un altro senza occuparne la sua casa. La presa al varco si può compiere soltanto quando un Pedone avversario n’affianca uno nostro uscendo di due case dalla fila di partenza. In tal caso il nostro Pedone può mangiarlo collocandosi nella casa posta alle sue spalle. La presa al varco va effettuata subito dopo l’affiancamento, altrimenti alla mossa successiva si perde il diritto di farla.

Il diagramma n.4 aiuta a capire lo svolgimento della presa al varco, nonché le altre peculiarità del movimento

dei Pedoni.

Diagramma n.4

Supponiamo che il Nero nella sua ultima mossa abbia mosso il Pedone da f7 a f5. Il Bianco acquisisce così il diritto di effettuare la presa al varco, perché il suo Pedone in g5 è stato affiancato da un Pedone avversario che si è spostato di due case nell’ultima mossa del Nero. In questo caso il Bianco può mangiare il Pedone nero f5 spostando il suo Pedone g5 nella casa alle spalle del Pedone nero, cioè in f6, e contemporaneamente eliminando il Pedone avversario f5 dalla scacchiera. Se però l’ultima mossa del Nero era stata per esempio Pedone nero da f6 a f5, ovvero uno spostamento di una sola casa, allora il Bianco non può effettuare la presa al varco, anche se il suo Pedone g5 è stato affiancato dal Pedone avversario.

In ogni caso nel diagramma sovrastante il Bianco ha a disposizione anche altre mosse, dato che la presa al varco non è obbligatoria, come la maggior parte delle altre mosse degli scacchi. In dettaglio il Bianco può fare anche le seguenti mosse:

Pedone da b6 a b7

Pedone da d4 a d5

Pedone mangia da f3 in e4

Pedone da f3 a f4

Pedone da g5 a g6

Da notare che nella posizione del diagramma nessun Pedone bianco può effettuare uno spostamento di due case in un colpo solo perché nessuno d’essi è collocato nella fila di partenza, cioè sulla seconda traversa.

L’arrocco

L’arrocco è l’unica mossa degli scacchi in cui un giocatore può muovere due suoi propri pezzi in un colpo solo.

Tale mossa coinvolge solo il Re e una delle due Torri, inoltre può essere effettuata solo una volta in tutta la partita. Ecco le condizioni necessarie per effettuare l’arrocco:

1.

Il Re non deve mai essere stato mosso prima durante la partita;

2.

La Torre coinvolta nell’arrocco non deve mai essere stata spostata prima durante la partita;

3.

Il Re al momento di effettuare l’arrocco non deve essere sotto scacco (cioè situato in una casa sottoposta al tiro avversario);

4.

Il Re durante il movimento dell’arrocco non deve attraversare case sotto scacco;

5.

Fra il Re e la Torre non ci devono essere altri pezzi, né amici né avversari.

Il movimento dell’arrocco si effettua con la seguente manovra:

è Durante l’arrocco, il Re si sposta di due case verso la Torre e quest’ultima gli si mette a fianco dall’altra parte.

Supponendo per esempio che il Bianco sia in grado di arroccare secondo le cinque condizioni appena citate e che voglia arroccare a destra. In questo caso avrà sicuramente il Re in e1 e la Torre in h1. Dopo l’arrocco, il Re si troverà in g1 e la Torre si sarà spostata al suo fianco dall’altra parte, in f1. Si dice in questo caso che è stato effettuato l’arrocco corto, in quanto fra il Re e la Torre al momento di fare la manovra c’erano due case libere,

f1 e g1. Ecco una tabella degli arrocchi possibili:

Arrocco lungo

Colore Prima Dopo

Bianco

Nero

Re in e1, Torre in a1

Re in e8, Torre in a8

Re in c1, Torre in d1

Re in c8, Torre in d8

Arrocco corto

Colore Prima Dopo

Bianco

Nero

Re in e1, Torre in h1

Re in e8, Torre in h8

Re in g1, Torre in f1

Re in g8, Torre in f8

L’arrocco in genere è una manovra difensiva volta a portare al riparo il Re in un angolo della scacchiera, dietro il muro dei propri Pedoni. Frequentemente il principale problema per vincere una partita a scacchi è quello di scardinare l’arrocco avversario per portare allo scoperto il Re nemico.

Lo scopo del gioco

L’obiettivo del giocatore è quello di battere l’avversario dando scacco matto al suo Re. Questo accade quando il Re nemico si trova sotto scacco, cioè sotto il tiro di uno o più pezzi del giocatore, e non gli è possibile spostarsi in altre case, perché bloccate o anch’esse sotto scacco, o parare lo scacco in altra maniera, come per esempio
mangiando il pezzo che sta dando scacco con una qualunque figura del proprio schieramento o interponendo una di esse lungo la linea del pezzo che gli sta dando scacco.

E’ da rilevare che se si ha il proprio Re sotto scacco bisogna obbligatoriamente cercare di parare lo scacco avversario, mangiando il pezzo che sta dando scacco, spostando il Re o interponendo un altro pezzo lungo la linea da cui arriva lo scacco. Se non ci sono mosse per parare lo scacco si ha perso la partita per scacco matto.

Naturalmente non è necessario che una partita prosegua fino allo scacco matto. Il regolamento concede che un giocatore, che si trova in netta inferiorità di pezzi o di posizione, abbia la possibilità di abbandonare la partita

prima della sua logica conclusione. Si dice in questo caso che l’avversario vince la partita per abbandono dell’altro giocatore.

Negli scacchi esiste anche il risultato di parità, detto patta. Esso può avvenire per tre motivi:

1.

I due giocatori si accordano per interrompere e concludere la partita con un risultato di parità, perché magari si sono accorti che nessuno dei due riesce a battere l’altro. Si dice in questo caso che la partita è terminata patta per accordo;

2.

Entrambi i giocatori restano con pochissimi pezzi, non sufficienti a dare scacco matto all’avversario. Si dice in questo caso che la partita è finita con una patta teorica;

3.

Uno dei due giocatori non può più muovere legalmente alcun pezzo, pur non avendo il proprio Re sotto scacco. Si dice in questo caso che la partita è finita patta per stallo;

4.

Una certa posizione (disposizione dei pezzi) sulla scacchiera si è ripetuta nel corso della partita per tre volte, anche non consecutive. In questo caso si dice che la partita si è conclusa con una patta per ripetizione di mosse;

5.

Durante la partita sono state effettuate 50 mosse consecutive senza che sia stata effettuata una cattura o che sia stato mosso un Pedone. In questo caso si dice che la partita è terminata patta per la regola delle 50 mosse.

Per concludere esaminiamo ora alcune tipiche posizioni di scacco matto e di stallo adoperando il diagramma seguente:

Diagramma n.5

Per ognuno dei quattro sottodiagrammi ovviamente si immagina che non ci siano altri pezzi sulla parte rimanente della scacchiera.

Partendo dal sottodiagramma in alto a sinistra vediamo subito che il Nero ha subito uno scacco matto. Infatti il
Re nero in b8 sta subendo uno scacco da parte della Torre bianca in a8 e non può scappare e non può nemmeno mangiare tale Torre, perché se lo facesse finirebbe sotto lo scacco dell’Alfiere bianco posto in c6.

Proseguendo in senso orario, si vede un altro scacco matto, dove il Re bianco con l’aiuto dei suoi due Cavalli ha intrappolato in h8 il Re nero. Il pezzo che sta dando lo scacco matto è in questo caso il Cavallo in f7.

Nel terzo sottodiagramma è invece il Nero a dare scacco matto al Bianco. Il pezzo che sta dando scacco matto è l’Alfiere nero in g2. Il Re bianco non può mangiarlo, perché finirebbe sotto lo scacco del Re nero, non può

andare in g1 per lo stesso motivo, non può andare in h2 perché tale casa è sotto scacco da parte del Pedone nero posto in g3, e infine non può eliminare l’Alfiere nero che sta dando scacco mangiandolo col suo Alfiere

posto in h3 perché se lo facesse il Re bianco finirebbe sotto lo scacco della Torre nera in h4 (la mossa sarebbe pertanto illegale).

Nell’ultimo sottodiagramma, in basso a sinistra, supponiamo che sia il Nero a muovere. Si vede facilmente che il Re nero, unico pezzo rimasto al Nero, non può muoversi da nessuna parte perché finirebbe sotto lo scacco o

del Re bianco o della Torre bianca. Tuttavia il Re nero attualmente non è sotto scacco nella casa a1, quindi non si tratta di una posizione di scacco matto, bensì di una posizione di stallo, cioè la partita è terminata pari.

I principianti nel tentativo di dare scacco matto all’avversario, pur essendo magari in netto vantaggio, nella foga del gioco spesso e volentieri non si accorgono di quest’eventualità, regalando in tal modo un insperato pareggio

all’altro giocatore. Da notare che lo stallo nel gioco della Dama non ha lo stesso esito: in questo gioco difatti il giocatore che finisce in stallo ha automaticamente perso.

Questo documento e maggiori informazioni sul gioco degli scacchi sono reperibili in Internet presso il sito: Scacchi! – http://scacchi.qnet.it

Da notare che nel sito sono presenti moltissime, aperture, schemi di difesa e partite da visionare, una vera miniera…

Per visionarle però occorre procurarsi il programma ChessBase Light 2007, reperibile gratuitamente in Internet.

12/12/07

APPARATO CIRCOLATORIO



Il sistema circolatorio si compone di tre parti:

  • un fluido, il sangue, che funge da mezzo di trasporto;
  • una rete di canali, i vasi sanguigni, per distribuire il fluido nei vari punti del corpo;
  • una pompa, il cuore, per tenerlo in movimento.

Alcune delle funzioni più importanti sono:

  • il trasporto di ossigeno dai polmoni ai tessuti e di diossido di carbonio dai tessuti ai polmoni
  • la distribuzione dei prodotti della digestione a tutte le cellule dell'organismo
  • il trasporto di rifiuti e prodotti tossici al fegato per la disintossicazione e ai reni per l'escrezione
  • la distribuzione di ormoni dagli organi che li secernono ai tessuti sui quali agiscono
  • la regolazione della temperatura corporea , in parte ottenuta adeguando il flusso sanguigno
  • il controllo delle perdite di sangue per mezzo della coagulazione
  • la difesa contro batteri e virus , grazie all'azione di anticorpi e globuli bianchi presenti nel flusso circolatorio


È formato dal cuore e da un complesso di vasi, suddivisi in arterie, vene e capillari, all'interno dei quali scorre il sangue.

Le arterie fuoriescono direttamente dal cuore e trasportano il sangue verso la periferia del corpo, mentre le vene portano il sangue dalla periferia al cuore.

I capillari sono invece vasi di ridottissime dimensioni, che formando i letti capillari, consentono lo scambio di sostanze fra il sangue e i tessuti che attraversano. Si può pensare ai vasi sanguigni come a un immenso sistema di canali navigabili, lungo alcune migliaia di chilometri.

Il sangue ha la necessità di rifornirsi di ossigeno prima di essere spinto dal cuore in tutto il nostro organismo; in base a questa caratteristica si differenziano due tipi di circolazione:quella polmonare, o piccolo circolo, e quella sistemica, o grande circolo, destinata all'irrorazione di tutto il corpo. In entrambe il sangue procede verso la periferia in vasi sempre più piccoli e numerosi e ritorna al cuore in vasimeno numerosi e più grossi.

La circolazione polmonare, o piccola circolazione, ha inizio dall'arteria polmonare che trasporta il sangue venoso, cioè ricco di anidride carbonica, nei polmoni. Qui i vasi assottigliandosi consentono lo scambio tra il sangue e l'aria contenuta negli alveoli polmonari.

A questo il punto il sangue procede verso il cuore da dove grazie alla contrazione di uno speciale muscolo, il miocardio, viene pompato nell'aorta e da qui in tutto il corpo. Il miocardio contraendosi consente al cuore di funzionare in modo ritmico alternando due fasi: diastole, o fase di riempimento e sistole, o fase di svuotamento. Nella prima i ventricoli si riempiono del sangue proveniente dalle vene, mentre nella seconda si svuotano spingendo il sangue nell'aorta e nella arteria polmonare. Questo movimento dà origine al battito cardiaco.

Della grande circolazione fanno parte altri due sistemi un po' speciali: quello delle arterie coronarie, importante in quanto porta ossigeno al cuore, permettendogli di funzionare, e quello della vena porta, che consente ai prodotti della digestione prelevati dall'intestino di raggiungere il fegato dove verranno ulteriormente elaborati.


Il sangue può essere definito come un tessuto formato da un liquido, il plasma, e da elementi cellulari in esso sospesi, i globuli rossi, i globuli bianchi e le piastrine.

Il plasma, che, separato dai globuli rossi ha un colore giallino, ha il compito di trasportare alcune sostanze, come proteine, vitamine e ormoni, nei luoghi di utilizzo o di eliminazione.

I globuli rossi consentono il trasporto dell'ossigeno grazie a una sostanza in essi contenuta, l'emoglobina; la loro vita media è di 120 giorni e vengono distrutti nel fegato e nella milza; si pensi che vengono eliminati circa 2 milioni di globuli rossi al minuto.

I globuli bianchi svolgono una funzione difensiva contro aggressioni al nostro organismo portate da batteri e virus.

Le piastrine contribuiscono alla coagulazione del sangue. Infatti quando un vaso sanguigno si rompe, in occasione di una ferita, nel sangue si attiva il processo di coagulazione a cui contribuiscono le piastrine e numerosi altri fattori, che come risultato danno una sostanza chiamata fibrina che svolge la funzione di un vero e proprio tappo.

Il Cuore



Grande poco più di una mano serrata a pugno il cuore è formato in massima parte da un particolare tessuto muscolare, il miocardio.
Questo associa le caratteristiche dei muscoli striati e di quelli lisci, infatti è in grado di contrarsi ritmicamente e in continuazione, indipendentemente dalla nostra volontà.

Posto tra i polmoni, all'incrocio fra grande e piccola circolazione , il cuore ha la funzione di una pompa che mantiene il sangue in costante attività. Immaginando di scoperchiarlo possiamo notare quattro cavità comunicanti due a due, ovvero due sezioni divise da un setto continuo, una sezione venosa e una arteriosa.

In ogni sezione si distinguono un atrio e un ventricolo comunicanti attraverso un orifizio fornito di una valvola che regola ritmicamente l'afflusso di sangue, impedendogli di tornare indietro. Nella sezione venosa, quella di destra, la valvola è costituita da tre membrane filamentose e per questo è detta valvola tricuspide, mentre nella sezione di sinistra, dove si contano solo due membrane, è detta valvola bicuspide o mitrale.


Il sangue arriva al cuore dalle vene cave e dal seno coronarico, passa dall'atrio destro nel ventricolo destro e da qui ai polmoni attraverso l'arteria polmonare, anch'essa fornita di tre valvole, dette semilunari, che impediscono al sangue di tornare nel ventricolo. Una volta ossigenato il sangue ritorna al cuore attraverso le quattro vene polmonari, passa nel ventricolo sinistro e quindi nell'aorta, fornita anch'essa di valvole semilunari, per essere distribuito attraverso la grande circolazione. Questo avviene grazie alla continua contrazione del muscolo cardiaco, in cui si distinguono due fasi, diastolica, o di riempimento e sistolica o di svuotamento. Queste due fasi si susseguono in continuazione determinando la pressione del sangue.

Il cuore è fissato nella sua posizione oltre che dalle vene anche da un sacco fibroso che lo avvolge, il pericardio, che appunto lo ancora saldamente al diaframma. Le sue dimensioni si aggirano intorno ai 10 cm di lunghezza, 10 di larghezza e 5 di spessore, ha un peso intorno ai 300/350 grammi. È un muscolo in costante attività e in grado di sviluppare una notevole potenza, si pensi che arriva a battere mediamente 100.000 volte in un giorno e a pompare dai 5 litri di sangue al minuto in condizioni normali fino ai 25 in condizioni di stress fisico.

Le arterie e le vene.



Le arterie sono i vasi che portano il sangue dal cuore verso la periferia. Derivano tutte dalla ramificazione di due arterie maggiori, l'aorta che esce dal ventricolo sinistro e dà origine alla grande circolazione e l'arteria polmonare, che fuoriesce dal ventricolo destro e dà inizio alla piccola circolazione. Allontanandosi dal cuore si suddividono in rami destinati alle varie parti del corpo e diminuiscono di dimensione, prendendo il nome di arteriole e arteriuzze e trasformandosi poi in capillari.

Il sangue ha qui carattere arterioso o meglio trasporta ossigeno grazie all'emoglobina e, attraverso il plasma, sostanze nutritive provenienti dall'apparato digerente; dopo aver percorso le ramificazioni dell'aorta il sangue arriva ai capillari dove cede ossigeno e sostanze nutritive ai diversi organi e tessuti.


Il sistema venoso ha origine alla periferia del nostro organismo dai capillari che aumentano via via di dimensione per la confluenza di altri vasi, divenendo progressivamente venule e poi vene.

Esse trasportano nella grande circolazione il sangue ricco di rifiuti proveniente da organi e tessuti e nella piccola il sangue ricco di ossigeno proveniente dai polmoni.

Molte seguono il corso delle arterie in numero di due per ciascuna e quindi sono molto più numerose. Tutto il sangue venoso perviene alle vene cave, in quella superiore convergono i vasi provenienti dal capo, dal tronco e dagli arti superiori, mentre in quella inferiore le vene provenienti dagli arti inferiori e dall'addome.

LA FESTA DI NATALE di Carlo Collodi


La storia che vi racconto oggi, non è una di quelle novelle, come se ne raccontano tante, ma è una storia vera, vera, vera.


Dovete dunque sapere che la Contessa Maria (una brava donna che io ho conosciuta benissimo, come conosco voi) era rimasta vedova con tre figli: due maschi e una bambina.

Il maggiore, di nome Luigino, poteva avere fra gli otto e i nove anni: Alberto, il secondo, ne finiva sette, e l'Ada, la minore di tutti, era entrata appena ne' sei anni, sebbene a occhio ne dimostrasse di più, a causa della sua personcina alta, sottile e veramente aggraziata.

La contessa passava molti mesi all'anno in una sua villa: e non lo faceva già per divertimento, ma per amore de' suoi figlioletti, che erano gracilissimi e di una salute molto delicata.

Finita l'ora della lezione, il più gran divertimento di Luigino era quello di cavalcare un magnifico cavallo sauro; un animale pieno di vita e di sentimento, che sarebbe stato capace di fare cento chilometri in un giorno se non avesse avuto fin dalla nascita un piccolo difetto: il difetto, cioè, di essere un cavallo di legno!

Ma Luigino gli voleva lo stesso bene, come se fosse stato un cavallo vero. Basta dire, che non passava sera che non lo strigliasse con una bella spazzola da panni: e dopo averlo strigliato, invece di fieno o di gramigna, gli metteva davanti una manciata di lupini salati. E se per caso il cavallo si ostinava a non voler mangiare, allora Luigino gli diceva accarezzandolo:

«Vedo bene che questa sera non hai fame. Pazienza: i lupini li mangerò io. Addio a domani, e dormi bene».

E perché il cavallo dormisse davvero, lo metteva a giacere sopra una materassina ripiena d'ovatta: e se la stagione era molto rigida e fredda, non si dimenticava mai di coprirlo con un piccolo pastrano, tutto foderato di lana e fatto cucire apposta dal tappezziere di casa.

Alberto, il fratello minore, aveva un'altra passione. La sua passione era tutta per un bellissimo Pulcinella, che, tirando certi fili, moveva con molta sveltezza gli occhi, la bocca, le braccia e le gambe, tale e quale come potrebbe fare un uomo vero: e per essere un uomo vero, non gli mancava che una sola cosa: il parlare.

Figuratevi la bizza di Alberto! Quel buon figliuolo non sapeva rendersi una ragione del perché il suo Pulcinella, ubbidientissimo a fare ogni sorta di movimenti, avesse preso la cocciutaggine di non voler discorrere a modo e verso, come discorrono tutte le persone per bene, che hanno la bocca e la lingua.

E fra lui e Pulcinella accadevano spesso dei dialoghi e dei battibecchi un tantino risentiti, sul genere di questi:

«Buon giorno, Pulcinella», gli diceva Alberto, andando ogni mattina a tirarlo fuori dal piccolo armadio dove stava riposto. «Buon giorno, Pulcinella.»

E Pulcinella non rispondeva.

«Buon giorno, Pulcinella», ripeteva Alberto.

E Pulcinella, zitto! come se non dicessero a lui.

«Su, via, finiscila di fare il sordo e rispondi: buon giorno, Pulcinella.»

E Pulcinella, duro!

«Se non vuoi parlare con me, guardami almeno in viso» diceva Alberto un po' stizzito.

E Pulcinella, ubbidiente, girava subito gli occhi e lo guardava.

«Ma perché», gridava Alberto arrabbiandosi sempre di più, «ma perché se ti dico "guardami" allora mi guardi; e se ti dico "buon giorno" non mi rispondi?»

E Pulcinella, zitto!

«Brutto dispettoso! Alza subito una gamba!»

E Pulcinella alzava una gamba.

«Dammi la mano!»

E Pulcinella gli dava la mano.

«Ora fammi una bella carezzina!»

E Pulcinella allungava il braccio e prendeva Alberto per la punta del naso.

«Ora spalanca tutta la bocca!»

E Pulcinella spalancava una bocca, che pareva un forno.

«Di già che hai la bocca aperta, profittane almeno per darmi il buon giorno.»

Ma il Pulcinella, invece di rispondere, rimaneva lì a bocca aperta, fermo e intontito, come, generalmente parlando, è il vizio di tutti gli omini di legno.

Alla fine Alberto, con quel piccolo giudizino, che è proprio di molti ragazzi, cominciò a mettersi nella testa che il suo Pulcinella non volesse parlare né rispondergli, perché era indispettito con lui. Indispettito!... e di che cosa? Forse di vedersi mal vestito, con un cappellaccio in capo di lana bianca, una camicina tutta sbrindellata, e un paio di pantaloncini così corti e striminziti, che gli arrivavano appena a mezza gamba.

«Povero Pulcinella!», disse un giorno Alberto, compiangendolo sinceramente, «se tu mi tieni il broncio, non hai davvero tutti i torti. Io ti mando vestito peggio di un accattone... ma lascia fare a me! Fra poco verranno le feste di Natale. Allora potrò rompere il mio salvadanaio... e con quei quattrini, voglio farti una bella giubba, mezza d'oro e mezza d'argento.»


Per intendere queste parole di Alberto, occorre avvertire che la Contessa aveva messo l'uso di regalare a' suoi figli due o tre soldi la settimana, a seconda, s'intende bene, de' loro buoni portamenti. Questi soldi andavano in tre diversi salvadanai: il salvadanaio di Luigino, quello di Alberto e quello dell'Ada. Otto giorni avanti la pasqua di Natale, i salvadanai si rompevano, e coi danari che vi si trovavano dentro, tanto la bambina, come i due ragazzi erano padronissimi di comprarsi qualche cosa di loro genio.

Luigino, com'è naturale, aveva pensato di comprare per il suo cavallo una briglia di pelle lustra con le borchie di ottone, e una bella gualdrappa, da potergliela gettare addosso, quando era sudato.

L'Ada, che aveva una bambola più grande di lei, non vedeva l'ora di farle un vestitino di seta, rialzato di dietro, secondo la moda, e un paio di scarpine scollate per andare alle feste da ballo.

In quanto al desiderio di Alberto, è facile immaginarselo. Il suo vivissimo desiderio era quello di rivestire il Pulcinella con tanto lusso, da doverlo scambiare per un signore di quelli buoni.

Intanto il Natale s'avvicinava, quand'ecco che una mattina, mentre i due fratelli con la loro sorellina, andavano a spasso per i dintorni della villa, si trovarono dinanzi a una casipola tutta rovinata, che pareva piuttosto una capanna da pastori. Seduto sulla porta c'era un povero bambino mezzo nudo, che dal freddo tremava come una foglia.

«Zio Bernardo, ho fame», disse il bambino con una voce sottile, sottile, voltandosi appena con la testa verso l'interno della stanza terrena.

Nessuno rispose.

In quella stanza terrena c'era accovacciato sul pavimento un uomo con una barbaccia rossa, che teneva i gomiti appuntellati sulle ginocchia e la testa fra le mani.

«Zio Bernardo, ho fame!...», ripeté dopo pochi minuti il bambino, con un filo di voce che si sentiva appena.

«Insomma vuoi finirla?», gridò l'uomo dalla barbaccia rossa. «Lo sai che in casa non c'è un boccone di pane: e se tu hai fame, piglia questo zoccolo e mangialo!»

E nel dir così, quell'uomo bestiale si levò di piede uno zoccolo e glielo tirò. Forse non era sua intenzione di fargli del male; ma disgraziatamente lo colpì nel capo.

Allora Luigino, Alberto e l'Ada, commossi a quella scena, tirarono fuori alcuni pezzetti di pane trovati per caso nelle loro tasche, e andarono a offrirli a quel disgraziato figliolo.

Ma il bambino, prima si toccò con la mano la ferita del capo: poi guardandosi la manina tutta insanguinata, balbettò a mezza voce:

«Grazie... ora non ho più fame...».

Quando i ragazzi furono tornati alla villa, raccontarono il caso compassionevole alla loro mamma; e di quel caso se ne parlò due o tre giorni di seguito. Poi, come accade di tutte le cose di questo mondo, si finì per dimenticarlo e per non parlarne più.

Alberto, per altro, non se l'era dimenticato: e tutte le sere andando a letto, e ripensando a quel povero bambino mezzo nudo e tremante dal freddo, diceva grogiolandosi fra il calduccio delle lenzuola:

«Oh come dev'essere cattivo il freddo! Brrr...».

E dopo aver detto e ripetuto per due o tre volte «Oh come dev'esser cattivo il freddo!» si addormentava saporitamente e faceva tutto un sonno fino alla mattina.

Pochi giorni dopo accadde che Alberto incontrò per le scale di cucina la Rosa: la quale era l'ortolana che veniva a vendere le uova fresche alla villa.

«Sor Albertino, buon giorno signoria», disse la Rosa: «quanto tempo è che non è passato dalla casa dell'Orco?»

«Chi è l'Orco?»

«Noi si chiama con questo soprannome quell'uomo dalla barbaccia rossa, che sta laggiù sulla via maestra.»

«O il suo bambino che fa?»

«Povera creatura, che vuol che faccia?... È rimasto senza babbo e senza mamma, alle mani di quello zio Bernardo...»

«Che dev'essere un uomo cattivo e di cuore duro come la pietra, non è vero?», soggiunse Alberto.

«Pur troppo! Meno male che domani parte per l'America... e forse non ritornerà più.»

«E il nipotino lo porta con sé?»

«Nossignore: quel povero figliuolo l'ho preso con me, e lo terrò come se fosse mio».

«Brava Rosa.»

«A dir la verità, gli volevo fare un po' di vestituccio, tanto da coprirlo dal freddo... ma ora sono corta a quattrini. Se Dio mi dà vita, lo rivestirò alla meglio a primavera.»

Alberto stette un po' soprappensiero, poi disse:

«Senti, Rosa, domani verso mezzogiorno ritorna qui, alla villa: ho bisogno di vederti.»

«Non dubiti.»


Il giorno seguente, era il giorno tanto atteso, tanto desiderato, tanto rammentato: il giorno, cioè, in cui celebravasi solennemente la rottura de' tre salvadanai.

Luigino trovò nel suo salvadanaio dieci lire: l'Ada trovò nel suo undici lire, e Alberto vi trovò nove lire e mezzo.

«Il tuo salvadanaio», gli disse la mamma, «è stato più povero degli altri due: e sai perché? perché in quest'anno tu hai avuto poca voglia di studiare.»

«La voglia di studiare l'ho avuta», replicò Alberto, «ma bastava che mi mettessi a studiare, perché la voglia mi passasse subito.»

«Speriamo che quest'altr'anno non ti accada lo stesso» soggiunse la mamma: poi volgendosi a tutti e tre i figli, seguitò a dire: «Da oggi alla pasqua di Natale, come sapete, vi sono otto giorni precisi. In questi otto giorni, secondo i patti stabiliti, ognuno di voi è padronissimo di fare quell'uso che vorrà, dei danari trovati nel proprio salvadanaio. Quello poi, di voialtri, che saprà farne l'uso migliore, avrà da me, a titolo di premio, un bellissimo bacio.»

"Il bacio tocca a me di certo!", disse dentro di sé Luigino, pensando ai ricchi finimenti e alla bella gualdrappa che aveva ordinato per il suo cavallo.

"Il bacio tocca a me di certo!", disse dentro di sé l'Ada, pensando alle belle scarpine da ballo che aveva ordinato al calzolaio per la sua bambola.

"Il bacio tocca a me di certo!", disse dentro di sé Alberto, pensando al bel vestito che voleva fare al suo Pulcinella.

Ma nel tempo che egli pensava al Pulcinella, sentì la voce della Rosa che, chiamandolo a voce alta dal prato della villa, gridava:

«Sor Alberto! sor Alberto!».

Alberto scese subito. Che cosa dicesse alla Rosa non lo so: ma so che quella buona donna, nell'andarsene, ripeté più volte:

«Sor Albertino, lo creda a me: lei ha fatto proprio una carità fiorita, e Dio manderà del bene anche a lei e a tutta la sua famiglia!».


Otto giorni passarono presto: e dopo otto giorni arrivò la festa di Natale o il Ceppo, come lo chiamano i fiorentini.

Finita appena la colazione, ecco che la Contessa disse sorridendo ai suoi tre figli:

«Oggi è Natale. Vediamo, dunque, come avete speso i quattrini dei vostri salvadanai. Ricordatevi intanto che, quello di voialtri che li avrà spesi meglio, riceverà da me, a titolo di premio, un bellissimo bacio. Su, Luigino! tu sei il maggiore e tocca a te a essere il primo».

Luigino uscì dalla sala e ritornò quasi subito, conducendo a mano il suo cavallo di legno, ornato di finimenti così ricchi, e d'una gualdrappa così sfavillante, da fare invidia ai cavalli degli antichi imperatori romani.

«Non c'è che dire», osservò la mamma, sempre sorridente «quella gualdrappa e quei finimenti sono bellissimi, ma per me hanno un gran difetto... il difetto, cioè, di essere troppo belli per un povero cavallino di legno. Avanti, Alberto! Ora tocca a te.»

«No, no», gridò il ragazzetto, turbandosi leggermente, «prima di me, tocca all'Ada.»

E l'Ada, senza farsi pregare, uscì dalla sala, e dopo poco rientrò tenendo a braccetto una bambola alta quanto lei, e vestita elegantemente, secondo l'ultimo figurino.

«Guarda, mamma, che belle scarpine da ballo!», disse l'Ada compiacendosi di mettere in mostra la graziosa calzatura della sua bambola.

«Quelle scarpine sono un amore!», replicò la mamma. «Peccato però che debbano calzare i piedi d'una bambina fatta di cenci e di stucco, e che non saprà mai ballare!»


«E ora, Alberto, vediamo un po' come tu hai speso le nove lire e mezzo, che hai trovate nel tuo salvadanaio.»

«Ecco... io volevo... ossia, avevo pensato di fare... ossia, credevo... ma poi ho creduto meglio... e così oramai l'affare è fatto e non se ne parli più.»

«Ma che cosa hai fatto?»

«Non ho fatto nulla.»

«Sicché avrai sempre in tasca i danari?»

«Ce li dovrei avere...»

«Li hai forse perduti?»

«No.»

«E, allora, come li hai tu spesi?»

«Non me ne ricordo più.»

In questo mentre si sentì bussare leggermente alla porta della sala, e una voce di fuori disse:

«È permesso?.»

«Avanti.»

Apertasi la porta, si presentò sulla soglia, indovinate chi! Si presentò la Rosa ortolana, che teneva per la mano un bimbetto tutto rivestito di panno ordinario, ma nuovo, con un berrettino di panno, nuovo anche quello, e in piedi un paio di stivaletti di pelle bianca da campagnolo.

«È tuo, Rosa, codesto bambino?», domandò la Contessa.

«Ora è lo stesso che sia mio, perché l'ho preso con me e gli voglio bene, come a un figliolo. Povera creatura! Finora ha patito la fame e il freddo. Ora il freddo non lo patisce più, perché ha trovato un angiolo di benefattore, che lo ha rivestito a sue spese da capo a piedi.»

«E chi è quest'angelo di benefattore?», chiese la Contessa.

L'ortolana si voltò verso Alberto, e guardandolo in viso e accennandolo alla sua mamma, disse tutta contenta:

«Eccolo là.»

Albertino diventò rosso come una ciliegia: poi rivolgendosi impermalito alla Rosa, cominciò a gridare:

«Chiacchierona! Eppure ti avevo detto di non raccontar nulla a nessuno!...».

«La scusi: che c'è forse da vergognarsi per aver fatto una bell'opera di carità come la sua?»

«Chiacchierona! chiacchierona! chiacchierona!», ripeté Alberto, arrabbiandosi sempre più; e tutto stizzito fuggì via dalla sala.

La sua mamma, che aveva capito ogni cosa, lo chiamò più volte: ma siccome Alberto non rispondeva, allora si alzò dalla poltrona e andò a cercarlo da per tutto. Trovatolo finalmente nascosto in guardaroba, lo abbracciò amorosamente, e invece di dargli a titolo di premio un bacio, gliene dette per lo meno più di cento.